“Signori si cambia“ fu uno slogan pubblicitario che, a metà degli anni ottanta, fu lanciato dall’ Ente Ferrovie dello Stato che, il primo gennaio del 1986, aveva abbandonato la vecchia definizione di Azienda Autonoma delle Ferrovie dello Stato. Era la prima tappa di una lunga cavalcata, durata più di un secolo, che aveva visto, con l’avvento della rivoluzione industriale e prima dell’Unità d’Italia, la nascita di diverse ferrovie private dal nord al sud della penisola.

Come è noto la prima ferrovia fu la Napoli – Portici che venne inaugurata nel 1839; se ne realizzarono successivamente altre, sempre con capitali privati, in Toscana, in Lombardia e altrove.

Nel 1905, sotto il governo Fortis, le diverse ferrovie locali furono statalizzate: lo Stato si prese carico della proprietà delle ferrovie e dell’esercizio. Le Ferrovie dello Stato di allora dipendevano dal Ministero delle Comunicazioni.

Successivamente, nel corso dei lustri, dal punto di vista organizzativo l’azienda rimase sostanzialmente ferma affrontando però, nel secondo dopoguerra, il problema della ricostruzione della rete ferroviaria ed il boom della ripresa economica, soffrendo nell’epoca del trionfo di un modello di sviluppo centrato sull’automobile.

La trasformazione in Ente accelerò il passo successivo, arrivato nel 1992, con la costituzione in SpA e con l’avvio, sul piano infrastrutturale, della realizzazione dell’Alta Velocità. Sul piano organizzativo, anche in ossequio alle Direttive europee, si avviò un’importante processo di divisionalizzazione prima e di societarizzazione poi culminato con la costituzione di Trenitalia e di RFI.

E veniamo all’oggi. Con la decisione assunta dal Consiglio dei Ministri, le Ferrovie dello Stato Italiane si aprono al mercato con una quota significativa dell’azienda che verrà quotata in borsa l’anno prossimo.

La volontà politica espressa dall’Esecutivo, di far misurare l’efficienza trasportistica delle ferrovie dai meccanismi del mercato borsistico, è chiara: le modalità di come si arriverà a questo appuntamento lo sono un po’ meno, come hanno registrato le cronache in questi mesi che hanno visto confrontarsi le diverse tesi, sia dell’amministratore delegato Elia che del presidente Messori.

Siamo di fronte comunque a un fatto incontrovertibile: saranno i consumatori a beneficiare dell’apertura alla concorrenza così come è avvenuto per il settore energetico o per quello delle telecomunicazioni. E l’ipotesi che prende corpo, quella della separazione della rete ferroviaria (che resterà al cento per cento pubblica) dai gestori del servizio, è quella vincente. In tal senso è importante il lavoro fatto su RFI proprio in questi giorni dall’Autorità Regolatoria dei Trasporti.

Infatti con la delibera n.96/2015  l’ART ha reso completamente indipendente RFI rispetto alle imprese ferroviarie e allo Stato concedente. Inoltre, ha stabilito che la determinazione dei pedaggi venga fatta direttamente da RFI, sulla base di precisi criteri dettati dall’ART, ma ha dato alla società piena flessibilità finanziaria nella modulazione delle tariffe per stimolare la crescita del traffico nelle tratte meno utilizzate.

In questo senso la delibera dell’Autorità, valorizzando il ruolo di RFI, ha fatto accelerare i tempi sulla quotazione in borsa di FSI. L’ART ha gettato le basi per creare una situazione di efficienza e di concorrenza. La regolamentazione dei mercati può realizzare le condizioni per favorire lo sviluppo economico, creando le situazioni necessarie affinchè l’ingresso nel mercato di altri operatori sia agevole e determinando, in questo modo, un aumento della competizione che va tutto a vantaggio dei consumatori.

Insomma questa volta si può ripetere con forza lo slogan “Signori si cambia” in quanto il sistema ferroviario tutto si sta aprendo al mercato in una logica di totale liberalizzazione.